SEQUESTRO PREVENTIVO. LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE
Sequestro preventivo anche nei confronti di soggetti diversi dall’amministratore
di Sara Mecca – Avvocato in Roma e Milano
Nel caso di reati tributari, è legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, per l’intero importo del profitto del reato, anche nei confronti di soggetti diversi dal legale rappresentante della società, ritenuti concorrenti nell’illecito. A fornire questo principio è la Corte di Cassazione, sezione III penale, con la sentenza n. 35527 depositata il 26 agosto 2016. Per la Suprema Corte, dovevano ritenersi concorrenti nel reato anche gli altri soci, poiché si trattava di una società a ristretta base azionaria e vi erano rapporti di parentela tra i soci e l’amministratore autore del reato stesso.
Nell’ambito di un procedimento penale per il reato di omessa dichiarazione(art. 5, D.Lgs. n. 74/2000) nei confronti di alcuni imprenditori, veniva applicata la misura del sequestro preventivo per equivalente su alcuni beni intestati agli stessi.
Avverso tale provvedimento, gli indagati proponevano ricorso al Tribunale del riesame, il quale, annullando la misura cautelare in riferimento all’annualità 2007 per intervenuta prescrizione, confermava nel resto il provvedimento del GIP.
Gli indagati proponevano, così, ricorso in Cassazione lamentando anzitutto che il sequestro era stato applicato a ciascuno per l’intero importo del profitto del reato, mentre avrebbe dovuto essere applicato pro quota.
Inoltre, sostenevano che la misura cautelare non potesse essere loro applicata in quanto non solo il reato di omessa dichiarazione è un reato “proprio” e come tale addebitabile, nel caso di contribuente persona giuridica, al solo legale rappresentante della società, ma anche che in ogni caso, al momento della consumazione del reato, essi non erano nemmeno più soci della società.
La normativa
L’art. 12-bis del D.Lgs. n. 74/2000 prevede che – nel caso di condanna o patteggiamento per un reato tributario – è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato. Qualora la confisca diretta non sia possibile si procede alla confisca di beni, per un valore corrispondente al profitto, di cui il reo abbia la mera disponibilità.
La confisca, applicata con la sentenza di condanna o di patteggiamento, è spesso garantita, fin dalla fase delle indagini preliminari, dal sequestro preventivo (diretto o per equivalente): si tratta di una misura cautelare reale, attraverso il quale, con la sottoposizione a vincolo dell’equivalente del prezzo (ciò che è servito a commettere l’illecito) o profitto (il vantaggio diretto derivante dal reato) del reato, si assicura la futura esecuzione della confisca all’esito dell’accertamento della responsabilità penale del soggetto indagato/imputato.
Si ricorda, inoltre, che un reato è definito “proprio” quando può essere commesso soltanto da colui che rivesta una determinata qualifica o posizione (ad esempio nel caso di illeciti fiscali il legale rappresentante del contribuente persona giuridica).
La decisione della Corte di Cassazione
Con la sentenza n. 35527, depositata il 26 agosto 2016, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso.
I Supremi giudici ricordano anzitutto che, secondo il prevalente indirizzo della giurisprudenza di legittimità, è corretta l’applicazione alla misura cautelare del c.d. principio solidaristico, in base al quale è legittimo il sequestro preventivo eseguito per l’intero importo del profitto del reato nei confronti di un concorrente, nonostante le somme illecite siano state incamerate in tutto o in parte da altri coindagati. Fatto salvo, ovviamente, l’eventuale riparto poi tra gli stessi secondo le regole civilistiche che però non hanno nulla a che vedere con il procedimento penale. Il principio solidaristico, infatti, uniforma la disciplina del concorso di persone e implica l’imputazione dell’intera azione delittuosa in capo a ciascun concorrente.
Peraltro, i giudici di legittimità hanno rilevato che il principio della personalità della responsabilità penale e della funzione rieducativa della pena, non può riguardare il sequestro, che è semplicemente una misura cautelare, ma soltanto la confisca.
La Corte ha poi rilevato che, nonostante il reato di omessa dichiarazione sia un reato “proprio” del legale rappresentante del contribuente persona giuridica, in ogni caso non può escludersi che possano concorrere nello stesso anche uno o più “estranei”, secondo la disciplina del concorso di persone nel reato.
Nella specie, sia il GIP sia il Tribunale del riesame, avevano adeguatamente motivato che dovevano ritenersi concorrenti nel reato anche gli altri soci, poiché si trattava di una società a ristretta base azionaria e vi erano rapporti di parentela tra i soci e l’amministratore autore del reato stesso. Infine, da considerarsi irrilevante anche l’uscita dei soci dalla compagine, poiché comunque essi risultavano beneficiari pro quota dell’omissione contributiva, derivante dalla mancata presentazione della dichiarazione fiscale.
Da qui il rigetto del ricorso, con conferma del provvedimento di sequestro.
Cassazione penale, sez. III, sentenza 26/08/2016, n. 35527
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